Quali sono le soft skills più richieste dopo la pandemia

Si chiamano soft skills proprio perché sono morbide e a volte anche un po' sfuggenti, dai contorni poco definiti.
A me piace chiamarle anche con il loro corrispettivo italiano: competenze trasversali, che vuol dire che occorrono in tutti i settori merceologici in modo trasversale (a differenza delle competenze verticali, che sono quelle  specifiche di un solo mercato o di un particolare tipo di industria).

Le soft skills sono trasversali perché riguardano la componente umana e relazionale e quindi quando gli aspetti relazionali cambiano o vengono addirittura sconvolti, come è accaduto recentemente a livello globale, ovviamente mutano anche le soft skills necessarie a lavorare in maniera efficace.

Quali sono quindi le 3 competenze trasversali più richieste da quando lo smart working è entrato nelle nostre vite e ci si vede di meno di persona, da quando si devono fronteggiare cambiamenti drastici nelle abitudini di noi stessi e dei nostri clienti e fornitori?

PROATTIVITÀ

Cosa vuol dire esattamente questa parola, che è imparentata anche con la resilienza di cui pure tanto si parla?
Proattività ha a che fare con respons-abilità, intesa proprio nel senso di avere l'abilità di dare un responso, ovvero una risposta, ma una risposta a cosa? A quanto ci accade intorno, alle circostanze, ai problemi, agli eventi, alle situazioni.

Un datore di lavoro che richiede proattività quindi quali comportamenti vuole dai suoi collaboratori?

  • Stop alle lamentele, sì alle soluzioni, che è un altro modo per dire "spostamento del focus dal problema alle soluzioni"
  • Uscire dalla logica delle colpe: scoprire o discettare se il colpevole è qualcuno con un nome e un cognome - per esempio un collega - o una congiuntura - per esempio la crisi o l'aumento dei prezzi - è solo una perdita di tempo (ecco perché ho messo l'immagine di una persona che punta il dito, ma ne parliamo fra un attimo)
  • Senso di appartenenza: il problema è di tutti e chiunque può contribuire alla soluzione
  • Creatività e problem solving, capacità di vedere la situazione da nuovi punti di vista o se preferisci think out of the box

Non tutti hanno la stessa propensione alla proattività e soprattutto non è automatico che si metta in moto ed è per questo che va anche favorita da parte dell'imprenditore o dal capo che la richieda, creando il clima che la fa prosperare, un clima di fiducia reciproca, collaborazione, non giudizio.

E poi ciascuno, indipendentemente dal ruolo, può e deve allenare la proattività costruendo ogni giorno il giusto atteggiamento mentale, ed è quì che riprendiamo il discorso del dito puntato verso qualcun altro, che si rifà ad una semplice ed efficace metafora che mi è stata proposta all'inizio della mia carriera e che mi è rimasta impressa da 15 anni a questa parte.

Quando punti il dito verso qualcosa fuori di te (una persona o una circostanza) additandola come colpevole il dito indice è appunto rivolto verso l'esterno, ma quante dita puntano verso di te?

Abbiamo detto però che proattività vuol dire anche uscire dalla logica delle colpe (anche verso noi stessi), perciò quelle 3 dita che puntano verso di te non sono accusatorie, ma sono una chiamata in causa, una chiamata ad essere respons-abili nel senso di dare una risposta, un promemoria per ricordarti quanto anche tu possa darti da fare per cambiare una situazione, a partire dal cambiare il tuo atteggiamento verso ciò che accade.

Se vuoi qualche suggerimento in più per evitare (o uscire da) una logica accusatoria verso te stesso guarda questo articolo che ho scritto qualche tempo fa.

Quando si parla di proattività molti fanno riferimento alla famosa preghiera della serenità (Signore, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscerne la differenza) che infatti non è una preghiera per avere una grazia, ma ci chiama in causa attivamente, chiedendo semplicemente di avere la mente lucida per capire quale azione mettere in campo.


In ambito di management lo stesso concetto è stato espresso in modo più laico (pur essendo stato lui un grande credente) da Stephen Covey con il modello delle 3 sfere (di interesse o coinvolgimento, di influenza, di controllo). In coda a questo articolo trovi un video che ho girato nel 2020 in pieno lockdown, che fa riferimento a questo modello in relazione a quanto stava accadendo in quel momento.

Per chiudere il discorso sulla proattività possiamo dire che il suo opposto (chiamato reattività) fa pensare che qualunque cosa accada intorno a noi dipenda prevalentemente da fattori esterni e questo toglie potere, smorza l'iniziativa, abbatte la motivazione, perché ci si sente piccoli di fronte alle circostanze.

La proattività viceversa, ci porta a pensare che noi siamo parte del problema e quindi anche parte della soluzione, ci legittima ad agire, ci restituisce grinta ed energia, ci fa riappropriare anche della soddisfazione piena per i nostri successi.

Passiamo alla seconda soft slill richiesta nel post pandemia:

MOTIVAZIONE

Anche la motivazione è qualcosa che alcuni hanno in maniera più spontanea e altri meno, ma questo non dipende solo da inclinazioni naturali, quanto anche dall'essere e sentirsi nel posto giusto.

Quando qualcosa ci coinvolge, quando un progetto personale o professionale ci riguarda, quando siamo coinvolti rispetto ad un risultato e non ci è indifferente che le cose vadano in un modo piuttosto che in un altro di certo c'è anche la motivazione.

Questo vuol dire che anche per avere una maggiore dose di questa soft skill c'è bisogno che si adoperi sia l'individuo che l'organizzazione per cui esso lavora (tranne che per imprenditori e per noi liberi professionisti che dobbiamo necessariemente essere motivatori di noi stessi).

Le parole chiave per generare motivazione in azienda sono:

  • coinvolgimento
  • circolazione delle informazioni.

Siamo motivati quando ci sentiamo parte di qualcosa a cui non siamo estranei, quando l'azienda ci rende partecipi dei suoi obiettivi, quando i lavoratori vedono un riscontro del proprio contributo, non solo in termini di feedback (che pure è fondamentale per questa e per molte altre ragioni), ma anche in termini di utilità.

Spesso nelle organizzazioni vedo persone che sentono di star mettendo il proprio tempo e le proprie energie in una specie di pozzo senza fondo, dove si perdono mescolandosi al tempo e alle energie degli altri colleghi, senza comprendere se e quanto il proprio contributo faccia la differenza.
Questo può mai essere un clima che crea motivazione?!

E allora si cerca di coinvolgere i collaboratori comunicando obiettivi, illustrando la missione e la visione, senza però creare dei momenti di partecipazione per la definizione degli uni o delle altre e questo non funziona.

Un percorso come La Ruota della Realizzazione in azienda funziona tanto più quanto più la base di partecipazione è allargata, in modo da portare alla creazione o alla revisione di missione, visione e valori condivisi e quindi motivanti.

Per quanto riguarda l'automotivazione individuale al lavoro le parole chiave sono altre due:

  • consapevolezza
  • azione

Può sembrare assurdo, ma sia in ambito lavorativo che personale non sempre sappiamo cosa ci fa star bene e cosa no, quantomeno non in maniera conscia.
Sentiamo delle resistenze verso certe attività o situazioni, così come percepiamo piacere e serenità in altre circostanze, sentiamo l'umore che cambia, ma non sempre sappiamo dare dei nomi alle cause di queste sensazioni.

Volersi motivare senza questa consapevolezza è come voler visitare una città sconosciuta senza mappa cartacea o virtuale che sia: andremo a zonzo e le esperienze che faremo, positive o negative, saranno del tutto casuali e difficilmente replicabili.
Quindi la soluzione è fare un procedimento di envisioning individuale, esattamente come se fossi un'azienda, scoprendo la tua missione (chi sono e qual è il ruolo sociale di cui mi sento investito), visione (qual è il segno che voglio lasciare nel mondo intorno a me) e valori (cosa è importante per me, come voglio comportarmi nel concreto per raggiungere i miei obiettivi).

In un envisioning ben fatto si passa anche attraverso domande come:

  • quali sono i miei ricordi lavorativi di maggiore soddisfazione?
  • cos'è che li ha resi speciali?
  • qual è il vero motivo per cui quell'attività mi piace tanto/non mi piace affatto?
  • qual è lo scopo ultimo del mio lavoro?
  • quali sono i momenti in cui il tempo passa molto velocemente/non passa mai?
  • se non avessi bisogno dei soldi farei questo lavoro?
  • quali sono le ragioni o circostanze che mi hanno portato a fare questo lavoro?
  • ho desiderato, scelto e perseguito questo lavoro (e allora perchè?) o mi è capitato (e allora quali sono le motivazioni che mi hanno spinto ad accettarlo)?

Una volta raggiunta la consapevolezza si passa all'azione, ovvero al #cosapossofareper sentirmi soddisfatto di quello che faccio o avvicinarmi ad una maggiore gratificazione e qui il tema della motivazione si riaggancia a quello della proattività appena visto.

Per maggiori approfondimenti su come rendere il lavoro più piacevole e gratificante, ti rinvio a quest'altro articolo sul tema del job crafting.

L'ultima soft skill della triade delle più richieste è

L'INTELLIGENZA EMOTIVA

Per capire come impatta l’intelligenza emotiva nella vita di ciascuno di noi ti faccio un esempio che probabilmente ti sarà capitato: ti ricordi di qualche compagno di scuola delle superiori che andava sempre bene nei compiti in classe e nelle interrogazioni, o di qualcuno che all’università si è laureato con il massimo dei voti, ma che poi non ha avuto molto successo nella vita lavorativa?

E viceversa ricordi qualcuno che a scuola non studiava tanto, che all’università non brillava, ma che oggi ha una vita professionale piena e realizzata?

Ecco queste situazioni hanno a che fare con l’intelligenza emotiva, che rende le persone più abili nella relazione con loro stessi e con gli altri e questo nella vita professionale è più utile delle classiche capacità logico-matematiche che sono premiate dai sistemi scolastici e di istruzione.

Ovviamente non voglio dire che il QI non sia importante o che non occorra studiare, ma semplicemente che l’intelligenza emotiva è un fattore chiave per la realizzazione personale e professionale ed è proprio per questo che è così richiesta.

Daniel Goleman comunemente si ritiene essere un po’ il padre dell’intelligenza emotiva, in realtà lui è forse lo studioso che l’ha resa nota ai più con il suo libro del 1995 intitolato appunto Intelligenza emotiva, che a sua volta prendeva le mosse da un articolo del 1990 dei professori Peter Salovey e John D. Mayer, che sono a tutti gli effetti i primi che hanno parlato di questo tipo di intelligenza.

Prima ancora di Salovey e Mayer si era già parlato di altri tipi di intelligenza oltre a quella tipicamente rilevata dal QI e colui che lo aveva fatto già nel 1983 era Howard Gardner.

Ma al di là della paternità della teoria, vediamo in cosa consiste e a quali capacità è stata collegata:

  1. Leggere le persone e le situazioni – agevolando in questo modo per esempio la negoziazione, la soluzione dei conflitti, la proposta di idee e progetti che accolgono il favore degli altri, l’innovazione...
  2. Saper emozionare gli altri – con evidenti vantaggi sulla capacità di storytelling, public speaking, vendita...
  3. Chiarezza sulle capacità e potenzialità altrui – capacità che agevola la possibilità di creare team equilibrati e di far crescere ciascuno secondo il proprio ritmo ideale, senza sovrastimare o sottostimare gli obiettivi individuali...
  4. Saper dare feedback in modo corretto grazie anche all’empatia – aumentando così la possibilità che il feedback venga accettato e porti ad una reale crescita.
  5. Gestione delle proprie emozioni – migliorando la capacità di prendere decisioni e di mantenere calma e lucidità in situazioni conflittuali.

Il lavoro di consapevolezza suggerito nel paragrafo sulla motivazione è molto collegato con la gestione delle proprie emozioni, infatti le competenze trasversali sono un sistema integrato, si supportano a vicenda e spesso investire del tempo per lavorare su una di esse porta a cascata effetti positivi anche sulle altre.

E tu su quale vuoi iniziare ad allenarti per prima?

PS: come promesso ecco qui il video girato in pieno lockdown con l'esemplificazione delle sfere di Stephen Covey rapportate al momento che stavamo vivendo. 
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Buona visione!

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LILIA PAVONE

Avvocato pentito, patita dei Beatles, formatrice dal 2007, moglie, figlia, sorella, zia e amica.

La mia missione: Essere un trampolino e una cassa di risonanza per i talenti delle persone che accompagno in un percorso di crescita.

La mia visione: Avere un mondo di persone che pensano #amoillunedì!

I miei valori:

CONDIVISIONE: donarsi come professionista e come persona, condividendo tutto ciò che so e tutto ciò che sono.

DIVERTIMENTO: l’ironia salverà il mondo (insieme alla bellezza), perché il sorriso alleggerisce la tensione e consente di attingere a risorse altrimenti irraggiungibili.

CRESCITA E CURIOSITA’: una formatrice non può che credere nel valore della crescita continua attraverso il costante aggiornamento.

PACE: le capacità di ascolto (di noi stessi e degli altri) e di comunicazione empatica sono le migliori strategie di prevenzione del conflitto, sia nel quotidiano che su larga scala.

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